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di Martina Colorio

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Casa posseduta?

Casa posseduta?

Rumori strani, sensazioni fastidiose, ombre che si muovono, animali e bambini che si agitano?

Questi sarebbero i classici elementi da ghost story. Con un po’ di poltergeist a interferire con gli oggetti, avremmo completato un ottimo film horror per allietare le serate autunnali. Eppure vi sono molte persone (oltre che interi business che ne approfittano) assolutamente sicure che le case possano essere infestate dai fantasmi.
Visto che è appena passato il giorno dedicato al ricordo dei nostri morti, ho pensato di affrontare questo argomento delicato in quanto riunisce in sé elementi di tradizione popolare, temi psicologici e persino elementi di neuropsicologia dello spazio.

Con quarant’anni di vita trascorsa da appassionata del cosiddetto “paranormale”, mi sento di dover ricordare come la figura del classico spettro, che si fa vedere e se ne va in giro per le abitazioni, non è mai stata scientificamente confermata. Tuttavia come ci insegna la metafisica orientale, e come la scienza finalmente sta cercando di definire, la nostra percezione della materia è una vera e propria costruzione mentale, le dimensioni non sono solo quattro (3 + il tempo) e molti eventi considerati “paranormali” potrebbero essere compresi valutando l’opzione di un‘illusione di materialità, in un universo fatto di onde e radiazioni. Potrebbero esserci altre dimensioni a noi ignote (si pensi a teorie come quelle della Brane Cosmology o le varie declinazioni del Multiverso) che ogni tanto creano una sorta di interferenza perturbativa nel nostro.

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Nell'analisi degli ambienti dovrebbero essere prese in considerazioni tutte le variabili possibili, anche quelle meno probabili. Tuttavia è fondamentale comprendere subito quale sia il sistema di Credenze di chi vive un luogo.

Ci possono essere delle energie apparentemente coscienti che attraversano o si manifestano in determinati ambienti, ma non sono la principale causa di disagi o problemi strutturali che spesso vengono automaticamente associati ad esse. Infatti nella quasi totalità dei casi, queste sensazioni o effetti negativi sono dati da un errore di valutazione della causa.

L’errore più comune è collegato alla psicologia personale e alla percezione della paura. La paura è un sentimento sano, dal momento che permette al nostro corpo di attivare meccanismi di difesa in caso di pericolo. Tuttavia molto spesso lo scatenante delle nostre paure non è un effettivo pericolo per noi stesse/i, ma è il condizionamento familiare o sociale che attiva una reazione eccessiva allo stimolo. Questo poiché siamo fin da piccole/i inseriti in un contesto culturale che plasma la nostra stessa percezione del mondo. Chi cresce in famiglie o contesti molto tradizionali, in cui la linea che divide il fisico dal metafisico è molto più sottile, può essere maggiormente condizionato a riconoscere elementi non materiali (spiriti, spettri, demoni…) come possibili attivatori di certi eventi, Pertanto rumori di assestamento, correnti d’aria impreviste, malfunzionamenti agli impianti, quando si è già in una situazione di preallarme (ad esempio di notte, o se non si è abituate/i a stare a casa da soli) vengono interpretati in modo erroneo dal nostro cervello che ne cercherà la replicabilità per giustificare la propria paura.

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L'attitudine a cercare prova delle proprie sensazioni e timori, è dovuta al bias cognitivo di conferma che ci porta a ritenere certo ciò che crediamo.

Se le paure si sono plasmate in infanzia, a causa di feedback negativi portati dai genitori (come un genitore spaventato dal buio, che tenderà a condizionare i propri figli) noi, per un sistema di risparmio energetico cerebrale, saremo più predisposte/i a cercare conferme di tali paure piuttosto che soluzioni ad esse. Infatti per il nostro cervello è estremamente faticoso sviluppare un’interpretazione logico-deduttiva della miriade di stimoli che riceviamo in ogni attimo dall’ambiente, e come meccanismo di autotutela andiamo alla ricerca di tutti gli stimoli già conosciuti, soprattutto se abbiamo bisogno di rapide risposte ai nostri bisogni. Non è quindi una questione di intelligenza o istruzione aderire o meno a certe mappe mentali e sistemi di credenze, ma principalmente una questione di abitudine.

In questo modo qualsiasi evento non esplicabile meccanicamente o elettricamente, può entrare velocemente nell’ambito dei nostri timori e delle forme pensiero a cui aderiamo per uso o costume. Proprio per questa ragione, relazionandoci con chi è convinto che nella propria abitazione vi siano delle presenze, la prima domanda da porsi è proprio: qual è il contesto culturale in cui la persona è inserita? Quali sono le paure che la persona non vuole superare? A livello professionale può essere molto difficile avere una risposta direttamente dalla persona, pertanto nel dialogo è fondamentale lavorare molto con l’ascolto empatico, e provare ad approfondire la storia di vita di chi abbiamo di fronte.

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Molto spesso gli eventi che portano una persona a credere di non essere sola in casa, sono evidenti, ma non vengono notati.

Questa analisi più psicologica deve però essere secondaria rispetto all’analisi delle forme e dei colori presenti in un’abitazione. Stati di agitazione o turbamento possono infatti essere la conseguenza all’esposizione costante a determinati ambienti non adatti alla nostra persona. Il fatto che come Sapiens digitali abbiamo rinunciato nel tempo a percepire il nostro Io profondo, quindi le reazioni istintive che invece sono molto attive in infanzia, ci porta a ignorare quanto lo spazio condizioni le nostre sensazioni. Stanze cupe, corridoi molto lunghi, mobili pieni di riflessi, piante poco curate, sono tutti attivatori di quello che è definito Fight or Flight, ovvero la paura sana che ci permette di essere fisicamente pronti allo scontro o alla fuga.

Questa è la ragione per cui i bambini e gli animali non hanno assolutamente intenzione di permanere in certi ambienti: non è la presenza di uno spettro, ma la presenza di pessime scelte di interior design, e poca cognizione di neuropsicologia. In questi casi, confrontandoci con gli abitanti, è quindi fondamentale comprendere come essi percepiscano tali spazi, e cercare di far comprendere loro che il sollievo al proprio disagio è molto meno paranormale del previsto.

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Se però escludiamo approcci di tipo emotivo o disagi causati dall'ambiente stesso, ci troviamo davanti al beneficio del dubbio.

Da sempre la nostra specie si è interrogata sulla vita dopo la morte, e sulla permanenza della coscienza extracorporea. Non a caso, proprio questi giorni tra Ottobre e Novembre, sono dedicati allo stretto legame tra i vivi e i morti, una relazione riscontrata fin dal Paleolitico e che ha origine in quello che per noi è un atto di rispetto: la sepoltura. La nostra specie ha in comune con molte altre il senso del lutto, quindi il tempo dedicato al ricordo e al distacco da chi ci è vissuto a fianco. A parte qualche raro animale che tende anche a coprire i propri morti, però, solo noi abbiamo sviluppato elaborati rituali funebri, spesso anche collegati al cibo come bisogno primario di vita. Questo poiché il nostro universo simbolico non riesce a spiegare cosa succeda nel momento in cui la coscienza abbandona il corpo fisico, e l’idea che possa permanere nel nostro piano esistenziale, è uno dei fili comuni di tutta la tradizione culturale umana.

Vi sono e vi sono state molte persone che si sono definite intermediarie per i defunti. Pratiche come il voodoo, lo spiritismo, ma anche alcune forme di guarigione popolare che si basano sul diretto intervento degli antenati, non possono essere facilmente liquidabili come pura superstizione. Anche se spesso è difficile affrontare questo limen tra i due mondi del manifesto e del non manifesto, non possiamo peccare di supponenza definendo certi eventi come impossibili e solamente condizionati da chi li ha vissuti.

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Infatti chi si occupa di tale ambito di ricerca, grazie alla propria sensibilità fisica o a ciò che verrebbe definita percezione medianica, tende ad essere concorde sulle tipologie di "presenze" esistenti.

La cosa che fa interrogare la fisica e l’antropologia sull’effettiva veridicità di certi fenomeni, è anche la concordanza tra le tradizioni popolari e le professioni più moderne di esorcismo o caccia ai fantasmi. Dai testi ed esperienze raccolte, infatti, si può notare come certi fenomeni possiedano, in modo abbastanza uniforme in tutto il pianeta, una sorta di “scala di coscienza” con cui si manifestano.

I casi più comuni sono quelli che potremmo definire come larve, utilizzando il termine latino che indicava gli spiriti dei defunti. Queste sarebbero una sorta di entità energetica incosciente che rimane in luoghi in cui vi è molta energia vitale. L’idea dei cimiteri infestati è infatti molto cinematografica più che tradizionale, poiché una coscienza extracorporea intesa come entità energetica, ha appunto bisogno di energia vitale per rimanere coerente. Quindi, a sorpresa, sarebbe molto più semplice incontrare presenze nei luoghi affollati, come supermercati, ospedali e cinema, piuttosto che in un luogo isolato o in case abbandonate.

Nei luoghi poco frequentati, invece, potrebbe manifestarsi quel fenomeno borderline tra la scienza e la metafisica, definito memoria dell’azione. Alcune presenze infatti, soprattutto se non interagiscono con l’ambiente e sembrano essere totalmente dedite ad altro, potrebbero essere una sorta di memoria del luogo. Se partiamo dall’assioma che vede il tempo non come una linea continua in evoluzione, ma come una costante che noi percepiamo in mutazione, è plausibile pensare che per noi sia possibile interagire con lo stesso luogo e i suoi abitanti, ma in un altro tempo. Da qui però si potrebbe approfondire anche con teorie più articolate che si allontanano dall’idea di fantasmi, per avvicinarsi alla fisica teorica e le questioni del Multiverso. In questo caso quindi, anche con il massimo dell’impegno, sarebbe di fatto impossibile allontanare tali presenze che vivrebbero appunto in un’altra dimensione.

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Solo due tipi di manifestazioni sarebbero quindi realmente coscienti: le presenze vincolate ad un luogo e le presenze che volontariamente decidono di permanervi.

In chiusura quindi, bisogna anche accettare la possibilità di potersi dover confrontare con vere e proprie entità coscienti. Queste son quelle che attraversano tutta la narrativa umana (banshee, yurei, dame bianche, pontianak…) e con cui molti castelli, templi o monasteri ancora pare convivano.

Gli spiriti vincolati son presenze che vorrebbero andarsene, ma che per ragioni legate a morti traumatiche o per voti non mantenuti, sono in un certo modo obbligate a permanere fino a totale disssoluzione della propria energia, o all’intervento di qualcuno che le “liberi”. Cercano raramente l’interazione perché non hanno coscienza del luogo in cui si trovano, e sono descritte come rimanenze psichiche ossessionate dai propri problemi passati.

Differente è il caso di presenze che hanno coscienza della propria esistenza, ma che non hanno coscienza del proprio stato, cosa che le rende inquiline non gradite di certi ambienti, perché tendono ad interagire, complicando la vita degli abitanti di un determinato luogo. E in questo caso solo il lavoro di una persona realmente sensitiva dovrebbe ottenere dei risultati. Come già dicevo in principio, prima di rivolgersi ad una/o specialista di esorcismi o medium, molto spesso bisogna prima affrontare i propri fantasmi interiori o gli orrori dell’architettura moderna. E le nostre abitazioni, anche le peggiori, potrebbero subito migliorare.

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